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Il ventennio tra gli anni Sessanta e Settanta è teatro delle più raffinate sperimentazioni maturate nel fervido contesto artistico milanese contemporaneo. Nel 1959 Enrico Castellani è tra i fondatori della galleria e della rivista Azimuth, insieme a Piero Manzoni e Agostino Bonalumi; e con queste premesse si avvia a una produzione artistica concettuale e minimalista nuova e originale.
Fin dai suoi primi tentativi, Castellani porta la superficie della tela a una distorsione strutturale che ne altera la percezione: chiodi fissati sul telaio premono dal retro fino ad alterarne la bidimensionalità e assumendo rilievo.
Le sue costruzioni sono scandite in astratti schemi regolari che esaltano la forma in quanto tale e qualificano lo spazio della tela come sostanza espressiva. Essa è realtà e non più rappresentazione.
Il tutto rafforzato da una severa monocromia, come in Superficie bianca, che non lascia spazio a narrazione, ma enfatizza la caratterizzazione di oggetto artistico.
"La monocromia è l'ultima chance della pittura per differenziarsi dalle altre arti; la superficie che ha di volta in volta descritto, alluso, suggerito, che è stata teatro di idilli e drammi e vaniloqui, ora è muta. Sull'ultimo atto della pittura è caduto un sipario monocolore e sarebbe vano indugiarvi in mistica contemplazione". (E. Castellani, citato in G. Celant, Dietro il quadro: Enrico Castellani, in Enrico Castellani, Milano 2001, p. 16)
La nuova fonte di energia e vitalità diventa la luce. Essa si insinua nel gioco di pieni e vuoti modulando la superficie pittorica e creando ombre e sfumature.
La percezione dello spettatore e il suo punto di vista diventano quindi determinanti in quanto puro godimento estetico.
In Superficie bianca la fuga visiva è dettata dalla disposizione dei chiodi che concentrano lo sguardo in una specifica direzione, spaziando in una ripetizione che tende all'infinito. La luce e le sue incidenze sono enfatizzate dal bianco della superficie, non-colore per eccellenza che non tende a prevalere su essa, ma anzi ad alimentarne la silenziosa azione.
Castellani riconsidera l'arte, concentrando la forza del suo lavoro in pochi elementi, quali la tela, i chiodi e il telaio, portando la composizione verso la tridimensionalità.
Fin dai suoi primi tentativi, Castellani porta la superficie della tela a una distorsione strutturale che ne altera la percezione: chiodi fissati sul telaio premono dal retro fino ad alterarne la bidimensionalità e assumendo rilievo.
Le sue costruzioni sono scandite in astratti schemi regolari che esaltano la forma in quanto tale e qualificano lo spazio della tela come sostanza espressiva. Essa è realtà e non più rappresentazione.
Il tutto rafforzato da una severa monocromia, come in Superficie bianca, che non lascia spazio a narrazione, ma enfatizza la caratterizzazione di oggetto artistico.
"La monocromia è l'ultima chance della pittura per differenziarsi dalle altre arti; la superficie che ha di volta in volta descritto, alluso, suggerito, che è stata teatro di idilli e drammi e vaniloqui, ora è muta. Sull'ultimo atto della pittura è caduto un sipario monocolore e sarebbe vano indugiarvi in mistica contemplazione". (E. Castellani, citato in G. Celant, Dietro il quadro: Enrico Castellani, in Enrico Castellani, Milano 2001, p. 16)
La nuova fonte di energia e vitalità diventa la luce. Essa si insinua nel gioco di pieni e vuoti modulando la superficie pittorica e creando ombre e sfumature.
La percezione dello spettatore e il suo punto di vista diventano quindi determinanti in quanto puro godimento estetico.
In Superficie bianca la fuga visiva è dettata dalla disposizione dei chiodi che concentrano lo sguardo in una specifica direzione, spaziando in una ripetizione che tende all'infinito. La luce e le sue incidenze sono enfatizzate dal bianco della superficie, non-colore per eccellenza che non tende a prevalere su essa, ma anzi ad alimentarne la silenziosa azione.
Castellani riconsidera l'arte, concentrando la forza del suo lavoro in pochi elementi, quali la tela, i chiodi e il telaio, portando la composizione verso la tridimensionalità.